Nell’ambito degli strumenti di autotutela rientra la diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.), strumento che la legge mette a disposizione del contraente non inadempiente per risolvere il contratto senza ricorrere al giudice. La parte adempiente, pur restando libera di agire in giudizio per sentir accertare l’inadempimento della controparte, ha la facoltà (e non certo l’obbligo) di esercitare quello che viene configurato come l’espressione di un diritto potestativo attribuito ex lege al creditore, il quale ha la possibilità di provocare immediatamente e unilateralmente una modifica del rapporto introducendo un termine di adempimento, in aggiunta a quello eventualmente previsto originariamente.
La norma prevede che la parte adempiente possa intimare per iscritto alla parte inadempiente di adempiere in un congruo termine,
trascorso il quale il contratto si intende risoluto.
È dunque indispensabile che la diffida ad adempiere sia comunicata attraverso strumenti idonei – qual è appunto una lettera raccomandata – che consentano di dimostrare che essa è giunta a conoscenza del destinatario: la natura recettizia della diffida implica appunto che debba essere portata a conoscenza del destinatario perché produca i suoi effetti. Anche in questa ipotesi opera la presunzione di conoscibilità di cui all’art. 1335 c.c., per cui la dichiarazione si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario. Sulla base di tale principio l’istituto produrrà i suoi effetti sia quando il diffidato rifiuti di ricevere la lettera raccomandata contenente l’intimazione ex art. 1454 c.c., sia quando la dichiarazione sia effettuata con lettera rivolta al legale del destinatario e pervenga nella sfera di conoscibilità di quest’ultimo anche solo “per conoscenza”.
Legittimato a formulare la diffida è naturalmente la parte che intende dare esecuzione al contratto. Sotto tale profilo è da ritenersi valida anche la diffida inviata dal legale della parte, giacché ciò che conta è l’idoneità della forma al raggiungimento dello scopo, ossia che pervenga nella sfera di conoscibilità del destinatario (Cass. 26 marzo 2002, n. 431o). La diffida può anche provenire dunque da persona diversa dal contraente, purché sia munita dei poteri di rappresentanza mediante procura scritta ex art. 1392 c.c.
La ratio dell’art. 1454 c.c. è costituita dall’esigenza di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all’esecuzione del
contratto, mettendo sull’avviso l’inadempiente che l’altra parte non è più disposta a tollerare ulteriori ritardi nella prestazione dovutale, avendo già optato per la risoluzione del contratto, qualora il termine fissato avesse a decorrere inutilmente.
La norma non prescrive un particolare contenuto della comunicazione, pur tuttavia la diffida, anche se non deve essere redatta con formule prestabilite, non può essere una comunicazione in cui uno dei contraenti espone enunciazioni vaghe e generiche, ma deve necessariamente contenere
-l’intimazione all’adempimento
-la determinazione del tempo concesso al debitore,
-la menzione dell’effetto risolutivo per il caso in cui entro il termine stabilito dal creditore il debitore non adempia l’obbligazione.
Non può essere considerata diffida ad adempiere la comunicazione con cui si intima di adempiere «entro brevissimo tempo», e altrettanto non sarà sufficiente ai fini della produzione dell’effetto risolutivo del rapporto la manifestazione della generica intenzione di «agire nelle sedi opportune» senza specificare se si intenda ottenere l’adempimento o la risoluzione del contratto.
L’unico onere imposto dalla legge a colui che si avvale del rimedio in esame è quello di indicare in modo inequivocabile l’intenzione di intimare alla controparte l’adempimento della prestazione rimasta ineseguita, ricollegando lo scioglimento del contratto all’inutile decorso dei termini dilatoriamente concessi. L’intimazione della diffida ad adempiere da parte del creditore, unitamente all’inutile decorso del termine fissato, sono elementi da soli idonei ad esonerare il giudice dall’accertare l’adempimento delle ulteriori prestazioni, cui l’intimante sia eventualmente tenuto, sorte per effetto della conclusione del preliminare.